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La storia di un best-seller: il Libretto rosso di Mao Tse-Tung

 

 

 “Noi siamo favorevoli all'abolizione delle guerre; non vogliamo la guerra. Ma non si può abolire la guerra se non mediante la guerra. Affinché non esistano più fucili, occorre il fucile”.                                                                                                                                                                              (dal Libretto delle citazioni dalle opere del presidente Mao Tse-tung)

Nei quadri e nei dazebao cinesi degli anni Sessanta compaiono studenti, operai, contadini e soprattutto schiere di guardie rosse che sventolano gioiosamente il celebre Libretto rosso dei pensieri di Mao Tse-tung. Non solo, nelle manifestazioni di piazza che percorrono l'Europa a partire dal Sessantotto spesso troviamo il libretto in mano ai ragazzi e alle ragazze che contestano il sistema politico e la società dei consumi occidentale. Si calcola che questo testo abbia avuto qualcosa come cinquecento edizioni diverse, sia stato tradotto in 52 lingue, esportato in 150 paesi e diffuso in circa due miliardi di esemplari – ma l'agenzia ufficiale cinese sostiene siano addirittura cinque miliardi.

Qual è il segreto dell'incredibile fortuna del Libretto rosso?

Innanzitutto le dimensioni. Un piccolo volume di quindici centimetri per sette, leggero come un accendino e più sottile di un portafoglio: il formato ideale per il taschino della giacca dell'uniforme maoista, la zhongshan zhuang, comodo per essere sfogliato in qualsiasi frangente, alla ricerca della frase del presidente adatta per l'occasione o per ripassare i capisaldi del suo pensiero.

Quindi il genere editoriale. Non un saggio politico ma una raccolta di citazioni tratte dalle opere di Mao in 33 agili e folgoranti capitoli. Perché la storia insegna che gli aforismi, insieme alle parabole, sono il metodo migliore e più accattivante per assimilare un concetto, a maggior ragione un'ideologia, per quanto appassionante e apprezzata possa essere. Lo aveva capito perfettamente Mao Tse-tung che, benché il libro fosse già stato stampato nel 1963, lo ripropone in una tiratura di massa all'indomani della così detta “rivoluzione culturale”, nel dicembre del 1966. È in quel periodo infatti che il “Grande timoniere”, per fronteggiare l’opposizione interna lancia una mobilitazione contro i dirigenti sospettati di difendere posizioni filo capitalistiche. Gruppi di giovani, le famigerate guardie rosse, iniziano così in tutto il Paese a mettere sotto accusa tutti quelli che vengono ritenuti oppositori dell’ortodossia maoista, con l’obiettivo di rimuovere ogni minimo ostacolo all’affermazione del comunismo. E il simbolo di questa ondata di intransigenza ideologica e di epurazioni politiche sarà proprio il Libretto rosso.

 

 

Ma il Libretto, al contrario di quanto si possa immaginare, agli occhi del mondo diventa un emblema di libertà: e questo è il terzo segreto della sua fortuna, il contenuto. Il volume si diffonde così velocemente perché quello che vi si trova scritto risponde alle esigenze di quel determinato momento storico. Un periodo in cui il sistema sovietico è visto con antipatia anche all'interno degli ambienti di sinistra; nel quale si propaga la lotta dei movimenti anticolonialisti, che vedono nella via al socialismo cinese l'unica capace di interpretare veramente i bisogni delle masse popolari; in cui in Occidente si risveglia la coscienza politica di tanti giovani che nella rivoluzione permanente e nella contestazione delle vecchie generazioni predicata dal maoismo trovano linfa per la propria protesta.

Nella Repubblica Popolare Cinese la pubblicazione del libro si conclude ufficialmente nel 1979, nel resto del mondo continua ancora oggi, a cinquant'anni dalla nascita di un'icona della cultura comunista del XX secolo.