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Centocinque anni fa nasceva Jackson Pollock: cinque cose da sapere sull'artista simbolo dell'arte americana del dopoguerra

«L'artista moderno lavora per esprimere il movimento, l'energia e le altre forze interiori». Ecco cosa vuol dire dipingere per Jackson Pollock, il maestro dell'action painting e del dripping, la tecnica con cui ha realizzato i suoi quadri più famosi. Genio ribelle e autodistruttivo, Pollock nasce il 28 gennaio di 105 anni fa e in soli quarantaquattro anni di vita diventa l'emblema della cosiddetta Scuola di New York e dell'espressionismo astratto. Ecco alcune curiosità sulla vita e l'opera di un personaggio chiave della nuova arte americana.

 

Filosofia esoterica e comunismo; il giovane Pollock
Se osserviamo alcune tele dei primi anni Quaranta, come Guardians of Secrets o Pasiphae, notiamo un interesse verso la simbologia esoterica e l'evocazione di significati enigmatici. Per capire come nasce in Pollock l'interesse verso le teorie iniziatiche dobbiamo fare un salto indietro nel tempo. Siamo a Los Angeles sul finire degli anni Venti quando Pollock, adolescente curioso e irrequieto, conosce l'insegnante d'arte Schwankovsky: il professore lo avvicina sia all'astrattismo che alla dottrina teosofica, un movimento che unisce diverse filosofie orientali, predica la fratellanza universale e l'allargamento della coscienza. Il culmine di questa esperienza avviene nel maggio del 1929: i due partecipano a un raduno in California e per una settimana ascoltano le parole del leader della Società Teosofica, l'”Illuminato” Krishnamurti.

Negli stessi anni il pittore frequenta anche i circoli comunisti della città, ammira i muralisti messicani – Siqueiros e Orozco su tutti – e sostiene l'idea di un'arte radicale e politicamente impegnata. Una posizione sorprendente per quello che di lì a breve diventerà il campione del primato artistico degli Stati Uniti.

 

Il granaio più famoso del mondo
Nei primi anni Quaranta Pollock non è ancora il pittore da copertina esposto nei musei di tutto il mondo; è un giovane di belle speranze catapultato a New York dove, oltre a dipingere, pratica lavori diversi come pulire i rulli tipografici o fare il sorvegliante nel Museum for Non-Objective Painting, il futuro Guggenheim Museum di New York. In questi anni cambia più volte casa insieme alla collega, compagna e poi moglie Lee Krasner: prima è in un piccolo alloggio sull'ottava strada al Greenwich Village, quindi nel 1945 si trasferisce a East Hampton, Long Island nell'abitazione nota come The Springs, a un paio di ore d'auto dalla metropoli. Una palazzina a due piani, inizialmente senza acqua né riscaldamento, ma con annesso un granaio che rappresenterà un luogo di culto per l'intera arte americana: in questo grande spazio adibito ad atelier, dalle cui finestre si vede il fiume e la radura, Pollock metterà a punto la sua tecnica del dripping e realizzerà i suoi capolavori, come Autumn Rhythm o Lavender Mist.

 

Una dipendenza letale
L'undici agosto 1956, l'artista totalmente ubriaco perde il controllo della macchina e si schianta contro un albero: quando muore Pollock ha solo 44 anni, non dipinge da un anno e mezzo, è ingrassato ed è ormai un alcolista. Il rapporto di Pollock con il vizio del bere comincia già in gioventù: a quindici anni sotto l'effetto dell'alcol litiga con un ufficiale dell'esercito e viene espulso da scuola. Dopo anni di dipendenza, nel 1937 il fratello Sande lo convince a sottoporsi a una terapia di disintossicazione, la prima di una lunga serie. Nel 1948 grazie alle cure del dottor Edwin Heller, l'artista riesce finalmente a smettere di bere: inizia il periodo d'oro per l'attività creativa di Pollock, che dipinge incessantemente e diviene sempre più popolare, tanto da apparire sulla copertina della rivista Life. Nel luglio 1950 il fotografo e cineasta Hans Namuth realizza un film che documenta la sua particolare tecnica pittorica: non si sa cosa scatti nella mente dell'artista, ma dopo questo evento, improvvisamente risprofonda nell'alcolismo, da cui non uscirà più e che lo porterà al tragico epilogo di sei anni dopo.

 

A cosa si ispira Pollock?
Oltre alla teosofia che abbiamo visto poco sopra, ci sono almeno altre tre importanti e fonti di ispirazione nell'opera di Jackson Pollock. Innanzitutto la cultura dei nativi americani e la loro arte, che egli non imita mai consapevolmente ma che restano dei modelli latenti nel suo lavoro. Il pittore visita più volte la mostra al MoMA del 1941 dedicata all'arte “indiana” e resta incantato dalle pitture di sabbia dei Navajo, non a caso realizzate per terra.

Un altro punto di riferimento sono i muralisti messicani, soprattutto per quanto riguarda la tecnica d'esecuzione. Pollock frequenta un workshop tenuto nel 1936 da David Siqueiros, che incoraggiava i suoi allievi a impiegare vernici e a lasciare sgocciolare il colore direttamente sulla tela: tutti suggerimenti accolti e sviluppati in futuro. Inoltre l'artista è un convinto sostenitore della pittura murale, il medium dell'avvenire: «Credo che la pittura cavalletto sia un genere in via di estinzione – afferma – e che la tendenza al dipinto murale incontri i sentimenti di oggi».

Per quanto riguarda il linguaggio simbolico dei suoi quadri, un rimando d'obbligo è a Jung e alla sua teoria delle immagini archetipiche comuni a tutti gli uomini e all'inconscio collettivo. Sono concetti che Pollock ha modo di conoscere in particolare grazie al dottor Henderson, psicanalista junghiano appunto, che lo prende in cura durante il suo primo trattamento di disintossicazione nel '37.

 

Capolavori o “maccheroni pasticciati”?
Un'arte così originale e fuori dagli schemi come quella di Pollock non viene subito compresa e sono molti i giudizi sprezzanti a cui il pittore deve andare incontro prima che critici, come Greenberg e Rosenberg, e collezionisti, come Peggy Guggenheim, si accorgano di lui. Alcuni definiscono i suoi dipinti come “maccheroni pasticciati” o “lo scoppio di una fabbrica di mattoni”; il critico del New York Times Robert Coates sostiene che «sembrano esplosioni di energia completamente disorganizzata e casuale, e perciò sono del tutto insignificanti»; uno dei curatori del Metropolitan Museum dichiara di essere in grado di farli lui stesso mentre un professore della Yale University propone l'opera Cathedral come fantasia per una cravatta.

 

Per conoscere i capolavori di Jackson Pollock guarda l'intervento dello storico e critico d'arte Michele Dantini