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«Alea iacta est»: quando Cesare diede inizio alla guerra civile

Secondo la tradizione è il 10 gennaio del 49 a.C. quando Caio Giulio Cesare, di ritorno dalla vittoriosa campagna in Gallia, varca il fiume Rubicone: una svolta epocale nella storia di Roma che segna la rottura dell'alleanza con il collega Pompeo e l'inizio della feroce guerra civile tra i due condottieri. Una lotta che si concluderà l'anno successivo a Farsalo, in Grecia, con la definitiva sconfitta delle truppe pompeiane e il trionfo politico di Cesare.

Ma perché il passaggio del Rubicone riveste un'importanza tale da costituire il punto di non ritorno delle tensioni tra Cesare e Pompeo? Perché il piccolo fiume romagnolo era considerato il confine tra la provincia gallica e lo Stato romano, e secondo le norme istituzionali era dovere dei generali e degli eserciti consegnare le armi prima di attraversarlo. Il rifiuto di Cesare è dunque una dichiarazione di belligeranza nei confronti non solo del collega Pompeo, ma soprattutto della repubblica e dei suoi senatori, che non gli avevano assegnato alcuna provincia né carica, escludendolo di fatto dai giochi politici. In questo brano tratto dalle Vite parallele – nella traduzione di Mario Scaffidi Abbate – leggiamo come lo storico Plutarco descrive la delicata decisione di Cesare:

«In quel momento Cesare non aveva con sé più di trecento cavalieri e cinquemila fanti: il grosso dell’esercito era rimasto al di là delle Alpi, ma non sarebbe tardato ad arrivare. Tuttavia, poiché l’impresa a cui si accingeva non comportava inizialmente l’uso di molti soldati, ma richiedeva rapidità di azione e singolare audacia (era infatti più facile abbattere il nemico piombandogli addosso inaspettatamente piuttosto che affrontarlo dopo aver preso tempo per prepararsi), ordinò ad alcuni tribuni e centurioni di occupare Rimini, una grande città gallica, servendosi soltanto delle spade per evitare quanto più possibile di provocare stragi o turbamenti fra la popolazione [...]. Passò quella giornata mostrandosi in pubblico e assistendo ad una esercitazione di gladiatori, poi, sul far della sera, preparatosi per la cena, entrò nella sala in cui già si trovavano i convitati e s’intrattenne un po’ di tempo con loro, quindi, come si fece buio, si alzò e salutò tutti dicendo che sarebbe tornato. In precedenza, però, aveva ordinato ad un gruppo di amici di andargli dietro, ma alla spicciolata, ciascuno di loro sbucando da un punto diverso.

Salito quindi su un carro che aveva noleggiato, prima tirò dritto, poi a un certo punto fece una deviazione e imboccò la strada per Rimini. Giunto nei pressi del Ru­bi­cone, il fiume che segna il confine tra la Gallia Cisalpina e il resto dell’Italia, strinse un po’ il morso ai cavalli rallentando la corsa e cominciò a riflettere: più si avvicinava il momento decisivo, più lo turbava l’audacia di ciò che stava per compiere. Si fermò e nel notturno silenzio, tutto raccolto in se stesso, esaminò i vantaggi e gli inconvenienti di quell’impresa. Più di una volta mutò parere, valutando con gli amici presenti [...] da un lato i mali che l’attraversamento di quel fiume avrebbe causato a tutti, dall’altro la fama che un tale gesto avrebbe lasciato ai posteri. Alla fine, messa da parte la ragione, si gettò d’istinto verso il futuro, e come dice solitamente chi si accinge ad un’impresa ardimentosa e difficile esclamò:

«Sia gettato il dado!».

Così prese ad attraversare il fiume e poi di corsa, prima che spuntasse il giorno, si buttò su Rimini e la conquistò».

 

Per conoscere la figura di Giulio Cesare guarda la conversazione di Luciano Canfora